A causa dell’emergenza sanitaria Covid-19, il Governo ha dovuto fare ampio ricorso al d.p.c.m. al fine di contenere il dilagare della pandemia.

Il d.p.c.m. è un decreto ministeriale emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri. È un atto amministrativo e, come tale, nel sistema delle fonti del diritto, riveste carattere di fonte normativa secondaria, il cui scopo è quello di dare attuazione a leggi o varare regolamenti. La natura di fonte secondaria comporta l’impossibilità per il d.p.c.m. di derogare alla Costituzione o agli atti aventi forza di legge, che infatti si collocano in una posizione subordinata nella gerarchia delle fonti.

A legittimare questo tipo di atti regolamentari è l’articolo 17 della legge 400/1988, che, al comma 3, stabilisce: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione”

I decreti ministeriali, tra i quali troviamo il d.p.c.m., devono quindi essere necessariamente autorizzati da un atto avente forza di legge che, dopo aver dettato i principi fondamentali di una materia, delega al ministro o ai ministri competenti o al Presidente del Consiglio dei ministri l’attuazione degli stessi o la loro più puntuale definizione.

Così è stato anche durante la pandemia, poiché, formalmente, alla base dei d.p.c.m. in materia Covid-19 sono stati emanati il decreto-legge n. 6/2020 e, in seguito, il decreto-legge n. 19/2020, atti aventi forza di legge che, dopo aver elencato le misure di contenimento, ne hanno affidato l’attuazione a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

La legittimità del d.p.c.m.

Nel corso di questi anni di pandemia sono stati sollevati molti dubbi sulla legittimità dei d.p.c.m., soprattutto con riferimento alle limitazioni poste alle libertà fondamentali degli individui quali, ad esempio, la libera circolazione sul territorio italiano ed estero. Per comprendere e valutare le ragioni che hanno portato all’adozione di questa fonte regolamentare è necessario partire da concetti più generali, ossia dalla classificazione delle fonti di produzione del diritto e dal criterio di gerarchia delle stesse.

Le cosiddette fonti di produzione hanno lo scopo di produrre diritto e si identificano con gli atti e i fatti che l’ordinamento riconosce idonei a produrre norme giuridiche. La legge è la fonte del diritto per antonomasia, ma il sistema delle fonti dell’ordinamento italiano è più articolato e complesso, che può essere rappresentato graficamente come una piramide: al vertice sono collocate le fonti di rango più elevato (Costituzione e leggi di rilievo costituzionale) e, man mano che si procede verso la base, quelle di livello inferiore. Si tratta di una vera e propria gerarchia delle fonti e delle norme giuridiche da esse prodotte, che consente di risolvere eventuali contrasti tra fonti giuridiche.

Il criterio gerarchico stabilisce la prevalenza della fonte di rango superiore rispetto a quella di livello inferiore, precludendo a quest’ultima di derogarvi o di porsi in contrasto con il contenuto della fonte sovraordinata. Così, ad esempio, i regolamenti governativi, quali fonti secondarie, non possono derogare alla legge ordinaria, mentre possono contravvenire a fonti di rango inferiore.

 

Piramide di Kelsen